Il Colosseo

L’Anfiteatro Flavio

E poi ci sono i luoghi che DEVI visitare. 

Un po’ come le visite di cortesia alle vecchie zie. E tu ci vai di malavoglia trascinata a forza. E tra bronci, musi lunghi capricci e piedi puntati ci vai. E appena entri in quel salotto incellofanato il DEVI ha il profumo di una crostata fumante all’albicocca e del caffè appena uscito dalla moka. Ha il luccichio del servizio Ginori con il filo d’oro. 

Con il dovere che nasconde un’opportunità.  Un’altra prospettiva.

Come con il Colosseo. In un tardo pomeriggio di settembre sotto un cielo drammatico carico di pioggia.
Luogo simbolo per eccellenza di Roma e della romanità. Non per me. 
Non ci vado mai volentieri. Non mi appassiona. Simbolo imposto. Mi trascino lì per una volta.

Incastonato tra Palatino, Esquilino e Celio tra via dei Fori imperiali via di San Gregorio e via Labicana. Il Colosseo è in realtà l’Anfiteatro Flavio iniziato da Vespasiano nel 71 d.c. e inaugurato da Tito nell’80 con 100 giorni ininterrotti di giochi in cui morirono circa 9000 animali.

È un colosso a pianta ellittica di 188 m per 156 m alto 48 m con una capienza di 50.000 spettatori. Quasi uno stadio olimpico.

Da vicino è impressionante. Gli ordini delle arcate vuote da cui si vede attraverso. C’erano statue un tempo.  Come pure un velario che lo copriva. 

Non è difficile immaginarlo al netto del perimetro mancante e dei due speroni più recenti di Stern e Valadier che hanno consolidato la struttura.

E allora ci giri attorno, scendi da via dei Fori per approdare al piano di imposta. L’arco trionfale a destra e lui il Colosseo immenso. Capisci il simbolo. Capisci il DEVI.

Non è certo la vecchia zia che ti aspetta con la crostata. È di più.
È lo stupore. La meraviglia. L’incanto. Con gli occhi che si riempiono di architettura romana. Utilitas Firmitas e Venustas: la triade vitruviana in uno sguardo.

Uno sguardo che da vicino si perde nei dettagli perché da vicino la dimensione colossale non è percepibile. Gli ordini architettonici che si susseguono a ogni piano. I buchi che hanno lasciato togliendo le grappe di ferro che tenevano insieme i blocchi. 

Con altri occhi, con altri sguardi tutto cambia. 

Il DOVERE diventa altro.

E ti lasci sorprendere da quello che fino a un attimo prima ti appariva come una forzatura e banalità.

Ps ottime birre da Le Saline shop, unico posto non turistico di via San Giovanni in Laterano.

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